Nuove scoperte dal sito archeologico di Coriglia. I risultati della decima campagna di scavo
Il quadro non è ancora completo. Ma ogni anno, dalla polvere di Coriglia, affiorano elementi significativi che aumentano valore del (e interesse per) l’area che sorge ai piedi di Monterubiaglio. Merito, stavolta, anche di strumenti tecnologici come il drone, impiegato per realizzare preziose foto zenitali, integrando l’archeologia con l’archeometria. E poi le scoperte, piccole-grandi-quotidiane, che relativizzano il punto d’arrivo dell’anno precedente, costringendo a rileggere quanto finora portato in luce.
Sì, perché quello che inizialmente sembrava essere solo un insediamento di età romana legato alla presenza dell’acqua, si sta rivelando qualcosa di molto più complesso. Indagata inizialmente negli anni ’90, l’area è stata soggetta ad interventi di scavo dal 2006. In passato, erano state rilevate opere murarie etrusche. Lo scorso anno, invece, sono stati scoperti ambienti databili al XIV secolo d.C., determinando un periodo di frequentazione durato per secoli.
I risultati della decima campagna di scavo condotta da studenti e docenti del Saint Anselm College, insieme ad alcuni volontari provenienti dal nord America e in collaborazione con l’Institute for Mediterranean Archaeology, il Parco Archeologico Ambientale dell’Orvietano, il Comune di Castel Viscardo sotto la supervisione della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria, come annunciato, sono stati presentati mercoledì 24 giugno con la visita guidata all’area, nel pomeriggio, e l’illustrazione delle evidenze scientifiche risultanti, in serata.
“In un Paese ricco di storia e povero di scavi come è il nostro – ha esordito il sindaco di Castel Viscardo Daniele Longaroni – non può che farci piacere che giovani americani vengano da lontano a tirare fuori reperti dalla terra. Il fatto che dopo dieci anni non sia ancora chiaro a cosa fosse destinato questo sito, che continua a riservare sorprese, non fa che incuriosire tutti spronando ad indagarlo più a fondo. È stato impostato un progetto che pure non ci impegna direttamente ed economicamente come cittadini. I finanziamenti alle nostre attività culturali sono legati a fondi della Comunità Europea e della Regione. Il ringraziamento non può che andare a questo team che ogni anno torna e porta avanti un lavoro importante che merita di essere valorizzato“.
Si è detto “felice di essere qui, per il decimo anno”, il professor David B. George. “Abbiamo lavorato a Coriglia – ha detto – per un patrimonio comune. Quella di quest’anno è stata una campagna molto produttiva. Negli ultimi dieci, ci sono stati più di 400 studenti che hanno imparato a conoscere gli abitanti di Monterubiaglio e Castel Viscardo. Trenta di questi sono qui ora. Senza di loro, non sarebbe stato possibile portare i risultati del lavoro di altissimo profilo scientifico in contesti internazionali importanti come Philadelphia, San Diego, Los Angeles, Seattle, Oxford. Abbiamo fatto del nostro meglio per rendere famosi Comune e sito archeologico“.
“Elemento discriminante di Coriglia – ha ribadito Claudio Bizzarri, co-direttore dello scavo più longevo tra quelli inseriti negli otto Comuni che costituiscono il Paao – è l’acqua, a cui è legata la funzionalità della zona vocata ad attività di carattere produttivo che si prolungano non solo fino all’epoca romana come rivelano strutture e materiali, ma anche fino al tardo Medioevo. E questo dato, fino all’anno scorso, non era assolutamente chiaro.
Quest’anno, l’indagine si è allargata esplorando la zona settentrionale. È venuto fuori un muro, che non conoscevamo, che ci dice che la struttura era contenuta in un ambiente che vede il suo riutilizzo in un’epoca successiva. La cosa interessante è che probabilmente l’acqua continuava a scorrere, formando concrezioni naturali dopo l’abbandono della struttura.
Nella parte a monte, è stato ripulito un tratto non ancora indagato finora. È emersa una vasca in cocciopesto di dimensioni abbastanza ridotte ma molto profonda, a cui arrivano almeno tre distinte canalette e ne dipartono altre due. Uno snodo per le acque. Alcune vasche intercomunicanti sono andate perdute. Ne vediamo due, ma sicuramente erano presenti altre.
La vicinanza con la sorgente e il fiume lascia ipotizzare la presenza di un insediamento etrusco con un santuario legato al culto delle acque. Anni fa, rinvenimmo alcuni ziri capovolti, messi in comunicazione con il sottosuolo. In epoca romana, potrebbero essere state delle vasche per abluzione. All’interno, sono state recuperate monete di un arco cronologico estremamente vasto. Risale al 15–16 d.C. l’asse di Augusto, altre sono state coniate sotto l’imperatore Traiano.
Nella zona settentrionale, è presente una struttura ipogea sotterranea che tendiamo a individuare come cella vinaria dove erano conservate le anfore. Una serie di gradini conducono alla base di muri alti circa 2,5 metri. Quello che probabilmente faremo il prossimo anno è lo spostamento verso nord per cercare di mettere in luce l’angolo della struttura emersa e indagare la volta della cavità.
Il modo di erigere le strutture con una strada che passa al centro è di epoca romana, ma vengono da insediamenti di epoca etrusca. Abbiamo una prima fase intorno al V secolo a.C. Lo rivelano i materiali affini. Elemento di sorpresa è stato il rinvenimento di un frammento della parete di un dolio. Una sorta di bollo rivela che Coriglia importava vino, oltre a produrlo. E poi: una lucerna ad olio del I-II secolo d.C. ben conservata, tessere di mosaico in pasta vitrea e un vaso in terracotta, a sottolineare l’essenza stessa di un territorio con buona argilla e buoni vigneti, che rimangono nei millenni“.
Da orvietonews.it